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Davide Nani

MINUS HABENS

MINUS HABENS

Lina è un'anziana insegnante di latino in pensione. Dopo molti tentativi falliti, il figlio Massimo riesce ad assumere Elga, una badante che finalmente le va a genio. Tra le due donne si instaura un rapporto dalle multiformi sfaccettature.
Il ritrovamento di un cadavere irriconoscibile in un fosso della campagna ferrarese intreccerà in modo imprevedibile le loro storie così distanti.

Leggi il primo capitolo

1
— Oggi signora Lina giro speciale al camposanto! — annunciò Elga spalancando la porta.
— Sempre che non ci sia altro da fare.
L’anziana professoressa si illuminò sciogliendo la smorfia severa dal volto.
— Vuoi scherzare bambina? Corri a prendere il mio vestito blu e usciamo subito, questo sole è una perla rara in questa stagione di nebbie.
Con qualche difficoltà Elga inserì la sedia a rotelle e il bastone treppiede sui sedili posteriori della Mercedes e le due partirono con il piglio di chi sta per fare una scampagnata fuori porta.
— Fermati lì! — intimò Lina indicando il distributore della benzina.
— I miei occhi sono vecchi e si abbagliano con quella spia rossa sul cruscotto, mi sembra il sole all’alba sul mare. 
Estrasse poi due banconote da venti euro dalla borsetta.
— Ma signora... sono troppi.
— Lo so! Guarda che chi sa il latino è bravo anche con i conti. A occhio e croce questo carrozzone beve più del tuo fidanzato.
Lina separò le banconote nelle due mani, con la destra ne mise una in mano a Elga e con la sinistra si introdusse nella scollatura della badante, depositando il prezioso biglietto nel reggiseno.
— Questi sono per te, non voglio che la macchina sia troppo piena per il minus habens, e lì non te li rubano.
Elga arrossì, non tanto per l’audacia del gesto della vecchia, ma per la gratitudine. Lina aveva capito ciò che era un po’ difficile ammettere, ovvero il motivo per cui era un bene che l’auto avesse poca benzina. Avere il pieno per Victor significava ampliare il raggio d’azione delle sue scorrerie tra bar e macchinette del video poker o, peggio, esagerare con la velocità.
— Signora Lina, non mi ha ancora detto cosa significa minus...
— Habens, te lo spiego se parcheggi vicino ai portici di piazza Ariostea, ho voglia di un caffè che sappia di caffè prima di andare alla Certosa, poi di lì se hai voglia possiamo andare a piedi; cioè tu coi piedi, io con le ruote.
Elga eseguì l’ordine e si ritrovarono sedute come due amiche sotto il portico, davanti a un paio di cappuccini fumanti. 
— Dunque, minus habens alla lettera sarebbe “persona che ha di meno”, ma diciamo che è un modo gentile, e per molti incomprensibile, per dire che uno è deficiente, come il tuo fidanzato.
Elga ripeteva la locuzione sottovoce, le piaceva il suono di quella lingua antica.
— Glielo puoi anche dire in faccia quando ti fa arrabbiare, non capirebbe e non penso che quella bestiaccia abbia il vocabolario di latino a casa, no?
Elga rise di cuore.
— Non sa nemmeno leggere bene, ha quella cosa che vede tutto mescolato, lettere e numeri.
— Dislessico?
— Sì mi pare. Ho provato anche ad aiutarlo, ma non impara e se insisto si arrabbia.
— Credo che non sia solo la dislessia il problema — rincarò Lina mentre le ruote della sedia abbandonavano l’affollato portico della piazza e imboccavano quello deserto del palazzo Rondinelli. Lo sguardo della ragazza si alzò istintivamente ad ammirare il soffitto sorretto dalle volte e si distrasse al punto da imprimere alla carrozzina un movimento a zig-zag.
— Hai gusto bambina. Questo è uno degli angoli più belli di Ferrara, è stato utilizzato per le riprese di diversi film.
Dopo l’intero giro della piazza, varcarono il cancello della Certosa.
Non era la prima volta che Elga entrava in quel cimitero, ma ne rimaneva sempre impressionata per la vastità e la quiete. I larghi spazi contrastavano con le viuzze attorno, quasi a far respirare gli occhi. Era la prima volta che la professoressa si faceva accompagnare dentro in carrozzina. Era un atto di confidenza nei confronti di quella ragazza gentile, o forse era un piccolo cedimento all’orgoglio che l’aveva sempre sorretta insieme al bastone durante il percorso alla tomba del marito. 
— Eccolo qui il mio mascalzone! — disse Lina indicando la foto del marito. Si alzò e con un fazzoletto che teneva nella tasca ripulì la foto. 
— Era proprio un bell’uomo. Cos’è quel cappello?
— Quello è il cappello da bersagliere, sapessi quanto ne andava fiero. Ero poco più che una bambina quando lo chiamarono per il servizio militare, ma ne ero già perdutamente innamorata. Quando è tornato non me lo sono fatto scappare. Avevo sedici anni, ma idee chiarissime. Ero molto attenta perché era bello e, come tutti gli uomini, poco fedele. Tutte me lo insidiavano. Sapessi quanti orecchi ho controllato in paese per vedere se avesse seminato dei figli in giro.
— Orecchi?
— Oddio cara, ti devo proprio insegnare tutto. Se c’è una cosa che può identificare un padre è la forma dell’orecchio del figlio. Non si dice da voi? I colori degli occhi si mescolano, anche quelli dei capelli, ma il disegno dell’orecchio, madre natura spesso lo copia tale e quale per generazioni. Guarda quello di Massimo quando lo vedi; ha il lobo attaccato proprio come quello di suo padre.
— E ne ha trovati?
— Di che?
— Di orecchi uguali a quelli di suo marito.
Lina tacque. A quella domanda così diretta e personale avrebbe risposto a chiunque in malo modo, ma si accorse che con quella ragazza stava così bene da perdere ogni baluardo di riservatezza. Era apparsa nella sua vita come inviata dal destino, una specie di angelo per alleviare i suoi dolori. 
— Non posso dirtelo bambina, dimentica le mie sciocchezze. Sai, invecchiando mi si è allungata la lingua, quando avevo la tua età ero muta e sorda ai pettegolezzi, silenziosa come l’aria che c’è qui. Ti andrebbe di farmi un favore?
— Tutto quello che posso.
— Lasciami sola qui per un po’, tieni, comprami dei fiori, il negozio l’hai visto poco fuori il cancello.
Elga, con la banconota tra le dita, passò in rassegna i suoi doveri e le sue responsabilità ed esitò qualche secondo guardandosi attorno. 
— Bambina vai, per la mezzora che segue ti prometto di non morire e nemmeno di cadere perché me ne sto qui seduta. Fai quel che ti dico e non avere paura.
Elga cercò di camminare all’indietro per tenere in vista la vecchia il più possibile e poi accelerò il passo verso il negozio di fiori. Il fioraio, illuminato dalla presenza della giovane, cominciò ad attaccar discorso e a perder tempo, tanto che Elga si spazientì e quasi gli tolse il mazzo di gladioli e rose dalle mani. Corse prendendo per errore la via più lunga e finalmente intravide la sedia a rotelle.
Un tuffo al cuore la colse nel vedere Lina immobile, a occhi chiusi.
— Signora! — le urlò allarmata.
— Sì, sì, sono viva. È che sono diventata come una bambina piccola in carrozzina, l’aria mi rilassa e mi dà sonno, meglio che mi porti a casa.
Dopo un lungo silenzio Lina riprese il discorso su Victor:
— Certo che se lo portassi dal barbiere per i capelli e se lo facessi sverniciare da tutti quei tatuaggi, anche il tuo ragazzo sarebbe presentabile.
— Qualche anno fa era bellissimo, come sua madre — disse Elga un po’ malinconica.
— L’hai conosciuta?
— Sì, lei non è bielorussa. Una gran signora.
— Oddio, per generare Victor allora si sarà unita col diavolo in persona.
— Il papà di Victor ha lavorato a lungo in Finlandia, se l’è sposata e portata al mio paese.
— E com’era lui?
— Un brav’uomo all’inizio, poi come tanti è rimasto senza lavoro, ha cominciato a bere ed è diventato un minus…
— Habens, anche lui. E la finlandese?
— Lei è una donna forte, ha fatto le valigie e se n’è tornata a casa sua. Victor non le parla più, dice che…
— Non dirmelo bambina, credo di saper bene cosa dice.

Specifiche

  • Genere: Giallo
  • Collana: I gialli Damster
  • Formato: 14x20
  • ISBN: 978-88-6810-502-0
  • Anno pubblicazione: 2022
  • Prezzo copertina:: 15

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