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Ilaria Chia

L'allieva di Canova

L'allieva di Canova

Nella Bologna occupata dalle truppe di Napoleone, la figlia di un modesto pittore sogna di affermarsi come artista, sfidando il potere maschile e le convenzioni sociali. Per riuscire a farsi strada dovrà opporsi alla volontà dei genitori, che hanno pianificato per lei un altro futuro, e soprattutto convincere lo scultore Antonio Canova, di passaggio a Bologna, ad accoglierla nel suo studio romano.   
Un romanzo ispirato liberamente alla vita della bolognese Carlotta Gargalli (1788-1840), giovane promettente che ottiene un certo successo come artista per poi essere risucchiata dall’oblio. Tra amori non corrisposti e matrimoni rifiutati, gelosie e tradimenti, la pittrice riuscirà non senza fatica a ritagliarsi uno spazio nella Roma vivace e cosmopolita del tempo. .

Leggi il primo capitolo

Bologna 

 

1796

Vive la France! Vive la révolution! 
Filippo Gargalli si affacciò al balcone della sua abitazione, guardando verso il basso. Due soldati stavano attraversando la piazza deserta, a filo del portico delle Scuole. 
Alla fine era accaduto, sospirò il pittore. L’esercito invasore aveva occupato la città, senza spargimento di sangue, senza quasi combattere. Eppure, ne era certo, da quel giorno la storia avrebbe imboccato un altro corso. Anche se in quel momento, intorno a lui, regnava soltanto la quiete. L’intero abitato giaceva immerso in un torpore irreale, come se la vita collettiva si fosse improvvisamente fermata. 
L’esercito rivoluzionario, si diceva, era tutt’altro che feroce, condotto da un giovane generale di origini italiane, Napoleone Bonaparte, abituato a successi fulminei. Non c’era dunque motivo di temere né per l’incolumità delle persone, né per il patrimonio. Poche cose, nel suo caso, ma messe insieme a prezzo di enormi sacrifici, come l’appartamento dove abitavano, cinque stanze in tutto per sette persone, una sistemazione molto modesta ma pur sempre la migliore possibile in quel momento. 
Un’esplosione fece vibrare i vetri dell’abitazione. Filippo Gargalli si sporse dalla balaustra, trattenendo il fiato. Poteva essere uno sparo, ipotizzò, o forse soltanto un petardo fatto esplodere per gioco. Una sensazione di impotenza lo prese, considerando che, nonostante abitasse nel cuore della città, non riusciva a farsi un’idea di ciò che stava accadendo. Il filo degli avvenimenti continuava a sfuggirgli di mano, troppo viscido per la comprensione di un uomo comune.
Il silenzio assordante inghiottì nuovamente l’abitato, respingendo il pittore nel bozzolo dei suoi pensieri. La normalità, rifletté, sarebbe tornata in fretta, dal momento che il Cardinal Legato aveva ordinato di non opporre resistenza e le famiglie dei notabili erano ben disposte a un accordo qualsiasi con i vincitori, pur di riconquistare la pace perduta. Eppure, da qualche tempo, un sentimento subdolo si era insinuato nell’animo di molti, la paura che accorciava le distanze tra ricchi e poveri, ora resi tutti uguali dalla medesima incertezza. Nelle ultime settimane infatti era stato tutto un susseguirsi di novene e pellegrinaggi sul colle della Guardia, dove da secoli la Madonna di San Luca proteggeva la città. Nonostante la guerra, non si era rinunciato alla Festa degli Addobbi, la ricorrenza che trasformava le strade e i portici in autentiche gallerie d’arte. Così via delle Pescherie, dove affacciava la chiesa di San Matteo degli Accarisi, aveva assunto l’aspetto di un elegante salotto, un vero spettacolo per gli occhi, non solo per i drappi colorati che sventolavano dalle finestre, ma anche per i bassorilievi e i dipinti che spiccavano su pareti mobili, foderate d’oro e di damasco. Un percorso tappezzato di gioielli, che durante le ore notturne brillavano, illuminati da trentanove lampadari di cristallo carichi di candele. 
Filippo Gargalli sorrise, ripensando alla storiella che gli aveva raccontato il suo vicino di casa. Il giorno prima alcuni soldati dell’avanguardia francese erano giunti davanti alla chiesa, rimanendo strabiliati e pensando che la galleria fosse stata preparata per loro, per riservare all’esercito di Bonaparte un’accoglienza trionfale. E la cosa più incredibile era che nessuno aveva avuto il coraggio di disilluderli, spiegando loro che si trattava di una festa religiosa. 
Il pittore catturò l’ultima boccata d’aria, prima di calarsi sul campo di battaglia delle beghe domestiche. Poi udì un suono di campane, i rintocchi provenienti dalla chiesa di San Paolo dei Barnabiti. Una scena gli ripassò davanti agli occhi, un corteo di fanciulle vestite di bianco, che sfilavano per strada, e una messa solenne officiata alla presenza di nobili e maggiorenti. Un evento voluto dai signori di Bologna per propiziarsi l’aiuto divino e allontanare lo spettro della guerra con una buona azione, assegnare una dote a diciotto ragazze povere in età da marito. 
Un’ombra calò sul volto del pittore, più scura della notte che stava avanzando. E lui sarebbe stato in grado di fornire una dote alle sue figlie?, gli venne da chiedersi.
Il dubbio incupì il suo umore, già sfibrato dal clima di incertezza, al pensiero che un domani avrebbe dovuto sopportare quell’umiliazione anche lui, inchinarsi al capriccio dei nobili e dei parroci, pur di assicurare un futuro dignitoso alle sue bambine. Un senso profondo di scoramento lo invase, facendogli dimenticare tutto il resto, l’occupazione dei francesi, la paura dei disordini e delle ruberie. Allora maledisse la sua professione, i troppi anni spesi a dipingere al servizio di committenti che avevano svilito il suo lavoro, pagandolo tardi e male. Aveva sopportato arroganti e presuntuosi, pur di assicurarsi la realizzazione di un’opera, anche una piccola tavola a uso privato. Nobili o religiosi non importava, tanto il successo era sempre una questione di compromessi, di abilità nell’acquistare il favore di qualcuno. Solo che ormai non ne poteva più. Arrivato alla sua età, non tollerava più di abbassare la testa. 
All’improvviso un grido echeggiò attraverso la piazza. Il pittore aguzzò la vista, scorgendo altri soldati bighellonare sotto il portico. Con i fucili a penzoloni e gli zaini slacciati assomigliavano più a viaggiatori oziosi che a militari impegnati in una guerra estenuante.
Liberté! Egalité! Fraternité!, si sentì ancora. 
Poi le parole lasciarono il posto a uno scroscio sguaiato di risate, incoraggiate dal tepore della serata e da diversi fiaschi di vino. 
Libertà, rimuginò mentalmente il pittore. Ma che cosa poteva significare quella parola per lui? Quando la città fosse stata finalmente libera, i committenti avrebbero forse pagato di più? Oppure ci sarebbe stato più lavoro? Con la rivoluzione i titoli nobiliari venivano aboliti e tutti diventavano cittadini, dotati degli stessi diritti e degli stessi doveri. In Francia la chiamavano Egalité. 
Filippo Gargalli rimase per un istante avvinghiato al corrimano del balcone, il volto sollevato a mezz’aria, quasi proteso verso un’epoca nuova, come nel tentativo di respirarne l’odore. Poi si decise finalmente a rincasare, richiamato dalla voce un po’ burbera della moglie. Giovanna Carage, una donna di origini francesi, che aveva sposato per amore. 
Il pittore si accomodò a tavola, aspettando che gli venisse servito da mangiare. 
— Siete proprio di buon umore questa sera — commentò la consorte per prenderlo in giro.
Lui scosse il capo con una smorfia. Non era mai stato peggio, bofonchiò tra sé, tuttavia si sorprese nel constatare che il cuore gli si era un po’ alleggerito. 
Un attimo dopo prese a sorseggiare la minestra con gusto, pensando che l’essere equiparato a un conte o a un marchese non gli sarebbe dispiaciuto affatto. 

 

Specifiche

  • Genere: Narrativa
  • Collana: Scriptor
  • Formato: 14x20
  • Pagine: 326
  • ISBN: 978-88-6810-501-3
  • Anno pubblicazione: 2022
  • Esiste la versione ebook?: no

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