IL TEMPO DEL TUONO L’ultima estate sull’Appennino Avvenuto
Primi mesi del ’44. Anna e Matteo, due adolescenti della piccola borghesia bolognese, si trovano a dover sfollare presso un’anziana coppia di montanari nel medio Appennino per sfuggire ai bombardamenti alleati e ai reclutatori di Salò.
Dopo il primo smarrimento dovuto all’essere catapultati dal mondo cittadino alla vita dell’Appennino, impareranno a conoscere la montagna, i boschi e la magia che li avvolge, in un tempo sospeso nel quale la guerra sembra un evento lontano.
La Storia, però, non si ferma e i due ragazzi, precipitati nel dramma, impareranno che la vita è fatta soprattutto di piccole buone azioni compiute da persone semplici… E da un pizzico di magia.
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Freddo. Tagliente, cattivo e maledetto.
Freddo. Tagliente, cattivo e maledetto.
Questo pensava Matteo mentre si inerpicava per una salita che sembrava infinita, chiuso nel pesante cappotto che era stato di suo babbo. In quella gelida mattina di inizio febbraio il fiato gli usciva in grossi sbuffi e gli occhiali si appannavano, rendendo difficile individuare i punti giusti dove mettere i piedi.
Così si trovava a incespicare, di quando in quando, nelle radici e nei sassi affioranti.
La vegetazione, spoglia nel rigore invernale, non riusciva a magnificare lo splendore dell’Appennino e, d’altra parte, Matteo, in deroga alla propria indole curiosa, non sentiva alcuna voglia di osservare questo mondo nuovo.
Sulle spalle portava un vecchio zaino di tela che conteneva tutto quello che gli era stato permesso portare con sé; davvero poca roba, rispetto a quanto lasciato a casa.
Lo squilibrio della proporzione rendeva l’umore del ragazzo più scuro a ogni passo.
Non avrebbe mai desiderato lasciare le quattro pareti del suo covo, della sua stanza. Allo stesso modo, mai avrebbe voluto abbandonare al proprio destino tanti dei suoi più cari amici, i compagni di mille avventure: i suoi libri.
Li immaginava ancora là, bene ordinati sugli scaffali e disposti per autore, settimanalmente spolverati, come li aveva lasciati due giorni prima e ora in balìa di coloro che avrebbero occupato la casa in sua assenza.
Ricordava bene i discorsi origliati attraverso la porta chiusa del tinello.
La settimana precedente, il nonno paterno era passato a trovarli, dove vivevano da qualche anno, in uno stabile del Risanamento, in via Bengasi, nel rione Cirenaica, a Bologna.
Dopo gli affettuosi convenevoli e la consegna del consueto regalo per lui, un libro scelto con cura tra le migliori edizioni, sua madre e l’anziano avvocato Barbieri si erano appartati per parlare con maggiore libertà.
Matteo, pur sapendo di fare cosa che, se scoperto, gli avrebbe garantito una sonora sgridata, aveva avvicinato l’orecchio allo stipite e, avendo cura di non produrre alcun rumore, aveva ascoltato.
Il nonno diceva, con tono dolce, ma deciso: — Mia cara Isa, so che è una scelta difficile quella che ti chiedo di fare, ma, te ne prego, prendi in seria considerazione la mia proposta. Rimanere qui più a lungo è davvero troppo pericoloso.
— Capisco le vostre ragioni signor Barbieri, ma sono nel dubbio. Lasciare Bologna vorrebbe dire costringere Matteo a interrompere il ginnasio, dove ha cominciato con buoni voti, e per me, significherebbe interrompere il lavoro di sarta a domicilio, che si sta avviando così bene. Inoltre, ho remore a lasciare la casa vuota. In nostra assenza potrebbe essere occupata da qualcuno, se non addirittura assegnata a qualche altra famiglia, se smettiamo di pagare l’affitto.
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi il nonno riprese:
— Cara, capisco le tue preoccupazioni e ritengo tu debba stare tranquilla. All’affitto penserò io, così come provvederò a rifornirvi delle risorse necessarie a resistere dove sfollerete. Ho già accennato alla questione della casa al mio amico che ricopre un ruolo di rilievo nella cooperativa Risanamento. Mi ha suggerito di ospitare in casa un’altra famiglia di fiducia, in modo che l’appartamento non sia vuoto e sia mantenuto sano e pulito, in vostra assenza. Credo sia una buona idea e, se sei d’accordo, avrei già in mente qualcuno. Qualcuno che si prenderà cura degli arredi e delle suppellettili in cambio dell’utilizzo della casa.
Il sospiro della madre fu davvero profondo.
— Ma le cose sono messe così male?
— Isa, tu e Matteo siete tutto quello che io e mia moglie abbiamo di più caro al mondo, quello che ci è rimasto…
— Ma, Alfredo…
— Non nutro molte speranze di rivedere mio figlio. Tuo marito è disperso in Grecia da troppo tempo e temo che quel termine abbia un altro significato. Ho dei brutti presentimenti e voglio proteggervi. Tutte le mie risorse sono a vostra disposizione per tentare di mettervi in salvo. Dopo i bombardamenti di quattro giorni fa mi sono convinto che non c’è più tanto tempo da perdere: la città si sta svuotando e chi se ne va credo stia facendo la cosa giusta. Bisogna scappare dalle bombe e dai reclutatori di Salò. Matteo è in pericolo. Si trova in quella età nella quale è un attimo che ti portano via. Ho sentito che vanno nelle scuole a fare proselitismo. In città rimarremo noi vecchi a tenere la situazione sotto controllo; io sono troppo avanti con gli anni per essere arruolato, così come lo sono per inerpicarmi sui monti. Figuriamoci mia moglie! Sai che non esce più di casa, nemmeno durante gli allarmi aerei.
— Avete già previsto tutto, quindi. Credo che seguirò il vostro consiglio.
A quella frase, Matteo si lasciò sfuggire un grido di sconforto e corse in camera, sbattendo la porta in un moto di rabbia e di disperazione.
Anna seguiva la madre sotto i portici di via San Vitale. I tacchi della donna risuonavano con una leggera eco, ritmati. Tutto quello che faceva sua madre era improntato al ritmo. Sembrava che ogni azione, ogni movimento nella vita di Benedetta vivesse dentro una trama musicale.
Anche quando il babbo, nonostante la posizione di responsabilità nelle Ferrovie dello Stato, era partito per il fronte russo e dopo qualche tempo non aveva più fatto avere sue notizie, Benedetta era riuscita ad affrontare la vita con una sorta di leggerezza musicale, aiutata, forse, dal suo mestiere di insegnante di pianoforte.
Per mezzo di quel mestiere era riuscita a mantenere più che dignitosamente lei e Anna, in quei mesi. Però, da qualche tempo gli allievi erano diminuiti. Molti di loro erano sfollati fuori città; altri non avevano più soldi da spendere nelle lezioni di musica. Qualcuno era morto sotto le bombe sganciate dalle formazioni angloamericane.
Quel pomeriggio Benedetta e la figlia stavano andando da una delle allieve più munifiche, seppur meno dotate, dello sparuto gruppo di aspiranti pianisti che prendevano lezioni dalla donna.
Una volta che furono arrivate davanti al portone del numero 40, proprio di fronte alla facciata di Palazzo Fantuzzi, Anna seguì la madre nella penombra dell’androne, non senza aver occhieggiato la scritta bianca su campo nero, sul lato opposto della strada, che indicava l’ubicazione del rifugio antiaereo.
Succedeva sempre così. Anna aveva imparato a memorizzare in ogni momento e ovunque andasse, la posizione del rifugio antiaereo più vicino, in caso risuonasse l’allarme che annunciava un’incursione.
In altri anni, forse, avrebbe notato gli elefanti dei bassorilievi. Ma non era quello il tempo delle osservazioni spensierate.
Mentre salivano le scale Anna, con la semplicità che solo l’adolescenza può dare, chiese alla madre: — Secondo te come mai l’avvocato Barbieri ci ha chiesto di anticipare la lezione di musica della signora?
Benedetta si fermò a metà della rampa e si volse a sorridere alla figlia: — Non ne ho una minima idea, Annina. Qualche metro e lo sapremo. Porta pazienza.
Pazienza! Aveva esaurito tutta quella che possedeva nel reprimere la stizza per quel nomignolo che la perseguitava fin da piccola. Un tempo poteva andare anche bene, ma adesso, a quasi quattordici anni, no!
Finalmente, arrivate davanti alla grande porta di legno, Benedetta tirò la cordicella che pendeva a fianco alla targa in ottone che indicava la residenza dell’Avvocato e, immediatamente si udì il tintinnare del campanello a ruota.
Attesero una manciata di secondi prima che la Signora Barbieri aprisse loro il portone sfoderando un ampio e dolce sorriso.
— Buongiorno Benedetta. Ciao Annina. Entrate.
Sulle labbra dell’anziana il nomignolo appariva più accettabile.
— Signora, buondì. Mi aspettavo sarebbe venuta ad aprire Luisa.
La Signora diede una leggera alzata di spalle e scosse il capo.
— L’abbiamo salutata questa mattina. Per lei non era più sicuro venire a lavorare tutti i giorni da San Lazzaro. Mio marito le ha dato un po’ di soldi e le ha promesso di tenerle il posto per quando… Per quando tutto questo sarà finito.
Anna e Benedetta si scambiarono una occhiata perplessa.
La Signora Barbieri riprese, con un sospiro: — Ci arrangeremo, io e l’Avvocato.
Chiamava sempre così il marito, conferendo al titolo una nota affettuosa.
— Venite. Andiamo in salone.
La Signora le precedette lungo il corridoio con passo lieve. Sulle pareti, le ombre lasciate da quadri non più presenti.
— Dove sono tutti i quadri? — domandò Anna, con la schietta curiosità che la distingueva.
L’anziana si fermò e sospirò: — L’Avvocato ha voluto metterli al sicuro. Non so poi da cosa. Sono quadri vecchi e, credo, senza particolare pregio. Ma è così preoccupato, nelle ultime settimane. Forse ha ragione lui. Non so.
Anna restò pensierosa. I bombardamenti si erano intensificati e, per questo, l’Avvocato aveva ragione, il pericolo era aumentato. Tante persone erano morte sotto le bombe, negli ultimi mesi. Bombe che dovevano cadere sulla ferrovia, ma che si spargevano per tutta la città.
Doveva essere difficile, da lassù in alto, dagli aerei, indirizzare il lancio dove si voleva.
Anna non poteva e non voleva pensare che i lanci fossero fatti sulla città apposta per ammazzare la povera gente, ma solo per colpire la Stazione Centrale. E come diceva la mamma: per fortuna che il babbo è al fronte. Altrimenti sarebbe sempre stato in pericolo, lavorando in ferrovia.
La ragazza non era del tutto sicura che essere al fronte potesse essere una situazione di privilegio, rispetto al lavorare in Stazione. Ma non aveva mai discusso con la madre. Non di questo.
Una voce interruppe i suoi pensieri.
— Vorrei poter rivedere tutti quei dipinti, alla fine della guerra. Indipendentemente dal loro valore. Solo perché mi piacciono. E piacciono anche ad Annina, vero?
La ragazza annuì, riconoscendo la voce dell’anziano avvocato.
— Sì. Soprattutto quello con la piazza alberata piena di tavolini dei caffè.
Barbieri sbucò alla porta del salone e sorrise: — Montmartre! Parigi! Sei una intenditrice, Anna cara. Spero tu possa andare a vedere di persona quei posti. Spero tu possa farlo presto.
Poi il vecchio fece un gesto con la mano: — Venite, accomodatevi. Abbiamo qualche biscotto e ancora un po’ di tè autarchico.
Anna sedette e prese un biscotto con lentezza ponderata, nonostante l’istinto le suggerisse di approfittare dell’occasione. Ma Benedetta l’avrebbe aspramente rimproverata di essere maleducata se avesse ceduto all’appetito.
La moglie dell’Avvocato, che sembrava leggerle dentro, suggerì: — Prendine un altro, cara. Poi, quelli che avanzeranno li porterete a casa.
Benedetta si schermì: — Grazie mille, ma non mi sembra il caso. Siete fin troppo generosi con noi.
Barbieri alzò una mano con gesto gentile, come a interrompere ogni possibile discussione: — Mia moglie ha ragione. Meglio che li prendiate voi i biscotti. A noi vecchi la roba dolce fa male.
Anna osservò i sei piccoli biscottini disposti a raggiera su un piattino di fine ceramica, un vero tesoro, per quei tempi, senza capire come avrebbero potuto risultare un pericolo per i due anziani.
— Ho notato che non c’è più il pianoforte — disse Benedetta accennando con il capo allo spazio vuoto vicino alla finestra che dava su via San Vitale.
Il vecchio sorrise alla moglie e disse: — Sì. Anche lui è stato messo al sicuro, assieme ai quadri, ad alcuni documenti e a qualche vecchia lettera di gioventù. Stiamo cercando di proteggere tutto quello che amiamo e che ci è caro. Perciò vi abbiamo chiamate qui, oggi. Non per una lezione di musica; con quelle riprenderemo quando la tempesta sarà passata.
— Cosa intende dire, Avvocato? — chiese la giovane donna.
L’anziana si intromise: — Mia cara, mio marito vorrebbe farle una proposta. Potrebbe sembrare esagerata. Almeno, a me così è parsa all’inizio; poi, riflettendo mi sono convinta che lui abbia ragione. Lo ascolti e poi decida in tutta serenità. Io spero che accetti.
Così Benedetta e Anna appresero di come l’avvocato Barbieri e la moglie stessero spendendo buona parte del loro non indifferente capitale per aiutare le persone con le quali avevano rapporti di amicizia a sfollare, a mettersi al sicuro. Erano certi del prossimo arrivo del fronte e spaventati dalle frequenti incursioni aeree.
Non temevano per la loro vita che dicevano di aver ben vissuto, ma per quella dei propri cari. Anna e sua madre appresero di rientrare in questa cerchia affettiva, pur non essendo loro congiunte.
La proposta era semplice: avrebbero potuto raggiungere una famiglia di contadini montanari residenti nel medio appennino bolognese, lungo la valle del Fiume Setta. Questa gente era fedele all’Avvocato e da decenni lavorava e custodiva un ampio castagneto di famiglia, che era stato di proprietà dei genitori della Signora.
L’avvocato avrebbe provveduto a ricompensare queste persone adeguatamente per il servizio. La casa della famiglia dei montanari, Aldo e Laura Collina, così si chiamavano, era abbastanza ampia per ospitare dignitosamente sei persone. E tanti sarebbero stati, perché assieme a loro avrebbero sfollato anche la nuora dei Barbieri con il figlio tredicenne.
Fu così che, sollecitate dall’Avvocato, commosse per la premura e incoraggiate dalla rassicurazione che nulla avrebbero dovuto corrispondere per l’opportunità offerta, né in quel momento, né mai, Benedetta e Anna decisero di accettare la proposta.
Salutati i due anziani con le lacrime agli occhi, madre e figlia tornarono a casa, in via Torleone, per radunare i pochi bagagli che avrebbero potuto portare con sé. Il tutto andava fatto in fretta e furia perché la partenza era stata definita per il giorno dopo.
L’Avvocato si sarebbe preoccupato della messa in sicurezza della casa e aveva garantito di fare tutto quello che fosse stato in suo potere per evitare danni e occupazioni.
Benedetta si fidava ciecamente anche se era consapevole di quanto le rassicurazioni del vecchio avrebbero potuto dissolversi in un attimo nel vento e tra i lampi di quella tempesta di guerra.
Inoltre, per lei che aveva una nonna ebrea, il terreno sotto i piedi avrebbe potuto trasformarsi in un attimo in sabbie mobili.
Specifiche
- Genere: Narrativa
- Collana: Scriptor
- Formato: 14x20
- Pagine: 244
- ISBN: 978-88-6810-504-4
- Anno pubblicazione: 2022
- Prezzo copertina:: 16
- Esiste la versione ebook?: no