Il Fascismo ferrarese Dodici articoli per raccontarlo
Le vicende del regime fascista a Ferrara vengono raccontate con semplicità espositiva, ma con rigore storico/scientifico da Antonella Guarnieri attraverso 13 saggi dedicati, ciascuno, ad un tema specifico dell’argomento. Da Olao Gaggioli ad Italo Balbo, da Renzo Ravenna e Igino Ghisellini, passando attraverso un breve spaccato della comunità ebraica ferrarese durante l’applicazione delle leggi razziali, il convegno di Studi corporativi svoltosi nella città estense nel 1932, il periodo badogliano e la tristemente nota Strage del Castello Estense.
La scelta dei temi riesce così a guidare il lettore attraverso una delle “storie locali” che maggiormente anno influenzato e si sono intrecciate con il regime a livello nazionale. Precursore alle origini, determinante nella caduta di Mussolini, laboratorio “tragico” della restaurazione repubblichina, il fascismo a Ferrara ha sempre vissuto aspetti peculiare, aspri e storiograficamente fondamentali per capire e conoscere il regime anche a livello nazionale.
Una ricca bibliografia e una carrellata di foto d’epoca completano questa raccolta di saggi.
Leggi il primo capitoloLe origini del fascismo ferrarese: da Olao Gaggioli a Italo Balbo
All’inizio del ‘900 la provincia di Ferrara assisteva al radicalizzarsi dello scontro tra la classe dei proprietari terrieri e il numerosissimo popolo dei braccianti.
Per comprendere la gravità della situazione, basti ricordare che, secondo il censimento del 1921, i braccianti ferraresi rappresentavano i 2/3 della popolazione attiva in agricoltura e circa la metà della popolazione attiva totale.
Si trattava di lavoratori poverissimi, totalmente sottomessi al volere dei proprietari terrieri, che potevano sfruttare la grande quantità di manodopera, proprio come accade ai giorni nostri, offrendo salari miserevoli e garantendo, al massimo, al capofamiglia 200 giornate lavorative e 100-150 al massimo per le mogli, i giovani, gli anziani.
In questa drammatica situazione si colloca la crescita del movimento socialista che focalizzava le proprie strategie sul controllo del mercato del lavoro, attraverso quello del collocamento che, sino a quel momento, risultava completamente asservito ai proprietari terrieri i quali, attraverso esso, imponevano le proprie scelte politiche ai braccianti dell’intera provincia. Negli anni, il movimento socialista decise, quindi, di sviluppare un’organizzazione sindacale, concretizzatasi nella provincia estense in circa 200 leghe, che doveva avere la caratteristica di essere molto radicata nella realtà locale per poter meglio conoscere tutti gli aspetti della difficile vita dei braccianti. Si trattava di una strategia che nascondeva numerosi elementi di debolezza, sintetizzati dall’enorme difficoltà di elaborare una tattica di lotta unitaria.
Nel 1919, in concomitanza con la fine della prima guerra mondiale e con il manifestarsi delle pesanti tensioni tra i reduci, causate dal tradimento delle promesse di ricompensa, sbandierate durante il conflitto, parallelamente all’enorme evoluzione del movimento socialista, andava iniziando l’estremamente complessa gestazione del fascismo, sia ferrarese sia nazionale. L’origine dell’esperienza estense deve essere fatta risalire attorno al febbraio del 1919, quando il ragioniere Olao Gaggioli, ex combattente della prima guerra mondiale, costituì il fascio futurista cittadino.
Deve essere notato che il programma si configurava, se confrontato con la realtà politica italiana, come democratico e assolutamente avanzato e che, per molti versi, era vicino a numerose delle rivendicazioni dei socialisti, visto che prevedeva, ad esempio, il suffragio universale, il diritto di sciopero, la libertà di organizzazione, di propaganda, aumenti salariali, forti tassazioni sui patrimoni ereditati. Il 23 marzo del 1919, probabilmente sostenuto dai dirigenti futuristi e dallo stesso Marinetti, fondatore del movimento, Gaggioli decise di inviare l’adesione del gruppo ferrarese alla riunione costituente dei fasci di combattimento, voluta da Benito Mussolini e svoltasi a Milano in Piazza San Sepolcro.
Il cammino sofferto e contrastato del fascimo ferrarese all’interno del movimento nazionale era cominciato, ma nonostante ciò, nelle elezioni politiche del novembre 1919, il fascio estense, presentatosi all’interno del Blocco agrario, subì una pesantissima sconfitta, superato non solo dai socialisti che raggiunsero il più importante risultato elettorale della loro storia con 43.726 voti, ma anche dal Partito Popolare che con i propri 7.360 suffragi batté il Blocco agrario, attestatosi a 6.939 preferenze con la sola elezione del professor Pietro Sitta, già Sottosegretario all’Agricoltura nel governo Orlando. I clamorosi risultati ottenuti dal socialismo ferrarese con circa il 75% delle preferenze nelle elezioni parlamentari del 1919, ai quali fecero seguito la conquista, nelle amministrative del 1920, di tutti i comuni della provincia e, soprattutto, il Patto Zirardini, siglato dopo dieci giorni di sciopero ordinato e senza violenze dei braccianti, che sanciva l’imponibile di manodopera e, finalmente, il controllo degli uffici di collocamento, parevano garantire grande forza al movimento.
L’importanza assunta dal socialismo sia a livello locale sia nazionale, insieme all’occupazione delle fabbriche del 1920, produsse, però, grande preoccupazione nei ceti più elevati e soprattutto in quello dei proprietari terrieri. Questo dato generale, nel ferrarese, venne reso ancora più grave dalla crisi della canapa che abbassò i guadagni dei proprietari, facendo sentire loro maggiormente i costi degli aumenti di salario concessi a malincuore ai braccianti. La situazione che si era andata creando in quei mesi appariva via via più che incandescente e il fascio ferrarese sembrava avanzare a passi sempre più decisi verso quella svolta di violenza sistematica che, in seguito, ne avrebbe consolidato il potere a livello locale, contribuendo non poco, attraverso la costituzione dello squadrismo, all’ascesa nazionale del fascismo.
La prima manifestazione ufficiale di questo fascio avvenne in un’occasione per nulla edificante, la quale deve essere sempre ricordata per non dimenticare le origini tutt’altro che pacifiche di questo movimento: la partecipazione alla spedizione violenta contro la nuova amministrazione socialista bolognese a palazzo d’Accursio che fu causa del ben noto eccidio. Nello stesso periodo le squadre fasciste, sostenute dagli agrari, cominciavano a scatenarsi nelle campagne contro i braccianti per impedire il boicottaggio dei proprietari terrieri, iniziando ad evidenziare con chiarezza un ben deciso cambiamento di intenti rispetto a quanto era stato manifestato nell’originario programma del fascio futurista, rendendo esplicita la volontà di schierarsi con decisione contro il movimento bracciantile, prendendo le parti dei grandi proprietari. Appare evidente che, sia a livello nazionale sia ferrarese, i proprietari terrieri ed in genere il capitalismo, alla luce anche delle massicce occupazioni delle fabbriche e dei successi elettorali del socialismo, cominciarono a maturare la convinzione che non fosse possibile fermare l’avanzata delle masse proletarie con i mezzi legali e per questo decisero di rivolgersi al fascismo, inizialmente con un appoggio economico devoluto con discrezione, da usare in funzione antiproletaria.
Tutto ciò accadde in maniera davvero esemplare nel ferrarese dove due elementi produssero la svolta che fece crescere il movimento fascista. Il primo, il 20 dicembre del 1920, fu un evento drammatico, il cosiddetto «eccidio» che causò la morte di 5 persone, quattro fascisti ed un socialista. Si trattò di un episodio che subì una pesante censura, durante i vent’anni di potere fascista, la quale, con grande probabilità, determinò la scomparsa di una grande parte dei documenti relativi ai fatti, condizionandone, negli anni a seguire, lo studio. Un elemento, troppo spesso ignorato da quanti in questi anni hanno cercato di strumentalizzare politicamente l’accaduto, deve essere ricordato: la sera precedente la manifestazione organizzata dai fascisti contro la giunta socialista in Castello, questi ultimi avevano dato inizio alle violenze, attaccando e bastonando a sangue l’onorevole Niccolai e la madre. Lo scontro avvenne il giorno successivo e, allo stato della ricerca, è impossibile stabilire con certezza chi iniziò a sparare; è certo, però, che entrambe le parti spararono, anche se fascisti e polizia accusarono i socialisti di avere sparato dalle finestre del Castello estense. La reazione della pubblica opinione, quella delle forze dell’ordine e dei magistrati fecero comprendere chiaramente quale era l’aria che tirava in città. Ad essere arrestati, infatti, non furono i fascisti, che avevano massacrato l’onorevole Niccolai e la madre e che avevano organizzato la manifestazione che sfociò in violenza, bensì i due massimi esponenti socialisti della città: il segretario del sindacato Zirardini e il sindaco Bogiankino.
Le forze dell’ordine, la magistratura e la prefettura dimostrarono senza ombra di dubbio di combattere una battaglia contro il socialismo e contro l’amministrazione democraticamente eletta. Quanto accaduto era la prova evidente della volontà delle alte gerarchie di non accettare la vittoria democratica dei socialisti.
I rappresentanti dello stato, infatti, avevano deciso di schierarsi al fianco dei grandi proprietari terrieri di quella zona, sconfitti democraticamente alle elezioni, insieme alla loro crudele politica agraria, sostenendo i fascisti che parevano gli unici, con la propria evidente propensione alla violenza, all’arroganza e alla prepotenza a possedere i numeri per fermare l’avanzata popolare. Che il fascio potesse evolversi e diventare il punto di forza della reazione degli agrari apparve subito evidente quando Olao Gaggioli, alla vigilia dello scontro del 20 dicembre del ‘20, si dimise dalla segreteria, sostenendo che i liberali, i cattolici e gli agrari si erano ormai impadroniti del movimento e ne avevano completamente stravolto le credenziali politiche e ancora di più quando, al suo posto, venne scelto Italo Balbo.
Ciò che deve essere compreso è che con questa svolta il fascismo perse tutte le proprie credenziali rivoluzionarie e divenne un mezzo di conservazione dello status quo nelle mani degli agrari, che, scegliendone il segretario, mostrarono con evidenza di esserne i proprietari. La lotta ai socialisti e ai sindacati che difendevano le popolazioni bracciantili e il fine non solo di bloccare i miglioramenti salariali e di vita delle classi più povere, ma addirittura di cancellarli, diventarono quelli della nuova organizzazione.
Balbo, che in quel frangente della propria esistenza era alla ricerca di una buona occupazione che gli permettesse di far fruttare le proprie doti dialettiche e la laurea, accettò con felicità, ponendo come condizione di ottenere uno stipendio di 1500 lire al mese, di essere immediatamente nominato segretario e di ottenere la garanzia di un impiego bancario alla fine della battaglia.
Specifiche
- Genere: Saggistica
- Collana: Cantieri di ricerca
- Formato: 148x210
- Pagine: 160
- ISBN: 978-88-97320-036
- Anno pubblicazione: 2011
- Prezzo copertina:: 12.00
- Esiste la versione ebook?: no