I SEGRETI DI FUMAROLO
Fumarolo, un piccolo paese sulle rive del Po, tra Veneto ed Emilia-Romagna.
Pietro Marconi, un ragazzo poco più che ventenne, sparisce di casa e viene trovato un paio di giorni dopo, morto, nelle acque del fiume. Il paese è sconvolto, la fidanzata non si dà pace e la madre è disperata.
Il maresciallo Piovan, incaricato delle indagini, ha qualche dubbio sull'ipotesi di suicidio e molti di più ne ha la Nives, un'arzilla vecchietta che inizia una sua indagine personale.
Pedalando senza sosta, la Nives prova a trovare il bandolo dell’intricata vicenda, tra pettegolezzi, sentito dire, e interrogatori personali tra la gente del paese. Un paese che, dietro l'apparente tranquillità, si scopre pieno di traffici illegali e segreti inimmaginabili.
SECONDO CLASSIFICATO AL GIALLOFESTIVAL 2022
1
A Fumarolo, ridente paesino di mille anime a cavallo tra il Veneto e l’Emilia Romagna, il solito afoso pomeriggio di metà giugno si preparava a sfumare piano piano nella tipica, soffocante serata estiva.
In quel tripudio di calore e umidità, la Roberta Volpato, prima sposata e poi vedova Marconi, se ne stava chiusa in casa, immobile, ad osservare il muro davanti a sé. Per lasciar fuori l’afa aveva abbassato le tapparelle, ma non del tutto, e un po’ di luce prepotente riusciva a farsi strada tra gli spiragli rimasti aperti, andando a disegnare motivi geometrici sulla parete immacolata.
La Roberta li fissava, ma senza vederli, perché i suoi occhi erano pieni di fantasmi. Inspirando a fondo, sollevò per l’ennesima volta la cornetta. Questa sarebbe stata la volta buona, se lo sentiva. Premette lentamente una serie di tasti in successione, e si mise ad aspettare fiduciosa. Nel minuto che seguì, i suoi occhi nocciola assunsero tutte le sfumature di emozione comprese tra la speranza e lo sconforto.
— Niente da fare. Non risponde — disse sconsolata alla foto del marito appesa al muro alla sua sinistra.
— E adesso che faccio? — gli chiese, cercando di scorgere una risposta nei suoi profondi occhi scuri.
— È inutile che mi guardi così, sai. Aspetta, che hai detto? Ho sentito bene? Tanto alla fine faccio sempre come voglio io? Devo proprio darti ragione, caro. Ma fammi vedere un po’ che ore sono. Mmmh, le sette. Dici che è presto per chiamare il maresciallo? Forse per chiamarlo ufficialmente, sì. Ma potrei chiamarlo ufficiosamente. Giusto per chiedergli cosa ne pensa lui.
Soddisfatta della sua decisione, la Roberta si allungò indietro sulla sedia ad afferrare la borsa che, se ben ricordava, di ritorno dalle commissioni della mattinata aveva appoggiato sul tavolo. Sì, ricordava bene. Dopo averci frugato un pochino dentro, ne estrasse una piccola agendina che scorse fino alla lettera P. Eccolo. Piovan Maurizio, maresciallo.
— Dunque, vediamo un po’… Tre, quattro, sette…
Questa volta la cornetta venne sollevata al primo squillo.
— Pronto, chi parla? — gracchiò una voce all’altro capo del filo.
— Maresciallo Piovan? Buonasera, sono la Roberta Marconi.
— Ah, Roberta, buonasera. Come sta? Cosa posso fare per lei?
— Io sto bene, maresciallo, grazie. E lei?
— Tutto bene, tutto bene, grazie.
— Bene, allora, mi scusi se la disturbo al cellulare, eh, ma sono un po’ preoccupata per mio figlio Pietrino.
— Preoccupata? E perché? Che è successo?
— Mah, che io sappia niente, però… non mi risponde al telefono. È dalle due che provo a chiamarlo per chiedergli se preferisce la marmellata di fragole o quella di prugne nella crostata.
Il maresciallo imprecò in silenzio e prese a mordicchiarsi nervosamente l’unghia del pollice. Pure quella ci mancava. Eppure la Roberta gli era sempre sembrata una persona tanto equilibrata. Inspirò a fondo prima di rispondere.
— Ma, signora Roberta, probabilmente Pietro in questo momento è impegnato. Non mi pare una questione di vitale importanza, no? Perché non prova a richiamarlo più tardi? Forse sta ancora lavorando.
— Ma no, maresciallo — rispose con foga la Roberta — Questa settimana il mio Pietrino è in ferie. Ma non ha capito niente, non è la crostata che mi preoccupa. Anche se, ora che ci penso, con questo caldo la pasta frolla si starà di sicuro sciupando. Aspetti un attimo che vado a metterla in frigo. Stia lì, eh. Non scappi. Torno subito.
— Sono qui, sono qui. Non vado da nessuna parte — sospirò il maresciallo, mettendosi a tamburellare con le dita sul finto legno, vera plastica della sua scrivania. Eppure la Roberta era giovane, quanti anni avrà avuto, una cinquantina? Evidentemente il caldo dava alla testa proprio a tutti, non solo ai vecchietti.
— Eccomi, maresciallo, sono tornata. È ancora lì? Bene. Mi scusi se ci ho messo tanto, ma ho fatto una fatica a trovare posto in frigo. È pieno che scoppia.
— L’importante è che abbia messo in salvo la crostata — rispose lui, pazientemente. — E ora mi dica pure.
— Dunque, le dicevo, il mio Pietro questa settimana è in ferie. E oggi è lunedì, no? Il lunedì viene sempre a cena qui da me. Di solito mi telefona al pomeriggio e mi dice cosa ha voglia di mangiare e io glielo preparo. Ma oggi non l’ha fatto. Allora l’ho chiamato io, perché insomma, dovrò pur sapere con un po’ di preavviso cosa devo cucinare. Mi sembra il minimo. Però non mi risponde, quello zuccone.
— E non ha pensato che magari, dato che è in ferie, potrebbe essere andato a farsi un giretto? Pietro va in bici, se non ricordo male. Se sta pedalando magari il cellulare non lo sente nemmeno.
— Si, ho pensato anche a questo, certo, ma la faccenda non quadra comunque. Perché in quel caso mi avrebbe chiamata questa mattina. Guarda mamma che vorrei le scaloppine alla pizzaiola e adesso vado in bicicletta ci vediamo dopo ciao. E invece niente. E lo sa che sono apprensiva, eh. Poi quando Franco mio marito era ancora qui tra noi ci pensava un po’ lui a calmarmi, ma adesso che se n’è andato... Vado proprio in crisi. E guardi, quello zuccone di mio figlio ultimamente mi sta proprio facendo arrabbiare. Gli avevo detto mi raccomando adesso che te ne vai di casa, alla sera ricordati di scrivermi un messaggino per dirmi che va tutto bene. E invece niente. Si dimentica una sera sì e l’altra pure. Sempre corrergli dietro, mi tocca.
— Ecco, vede? Quindi potrebbe...
— Eh, ma di lunedì no. Il lunedì è sacro — lo interruppe subito lei.
Il maresciallo cominciava a spazientirsi.
— Forza, Roberta, sono certo che la richiamerà quando torna. Oppure tra un’oretta verrà direttamente lì per cena. Dia retta a me, marmellata di prugne.
— Ma mica posso chiederle un favore, maresciallo? — sussurrò la Roberta titubante, dando prova di non averlo nemmeno ascoltato.
— Come no, mi dica pure.
— Non è che potrebbe passare un attimo a casa di Pietro a vedere se è tutto a posto? Io non ce la faccio. Ma se ci va lei, che è un uomo coraggioso, può dirmi se c’è la macchina, e poi potrebbe anche guardare se c’è la bicicletta, e se non c’è io mi tranquillizzo, perché allora vuol dire che è in giro. La macchina la parcheggia in strada e la bici invece di solito sta nel casotto sul retro. Vediamo come potrebbe fare… ma sì, lei basta che scavalchi il muretto e poi gira attorno alla casa e lo trova, il casotto. Il mio Pietro lo chiude sempre a chiave, perché dentro ha tutte le cose preziose della sua bici, però le chiavi le nasconde lì di fianco. Sono nella cassetta di legno di fianco alla porta. Dentro a un vaso. Più precisamente il terzo a partire da destra. Però stia attento a non pungersi. E poi, non è che potrebbe provare a dare un’occhiata dalle finestre per vedere che non sia dentro, che magari si è sentito male? O se vuole passare di qua gliele do io, le chiavi di casa.
— E va bene — sospirò il maresciallo, rassegnato. — Ma per adesso facciamo che guardo dalle finestre. Poi se vedo qualcosa, vengo a prendere le chiavi o butto giù la porta. Lei stia lì tranquilla, che poi le faccio sapere. E se nel frattempo Pietro dovesse arrivare, mi avverta subito così non stiamo a perdere tempo. D’accordo?
— Benissimo. La ringrazio tanto, maresciallo.
La Roberta chiuse la chiamata, guardò un attimo il marito, e ricompose il numero di Pietrino per la cinquantesima volta, nella speranza che cambiasse qualcosa. E in effetti questa volta qualcosa cambiò. Al posto degli squilli a vuoto, partì una voce metallica:
— Risponde la segreteria telefonica del numero tre quattro nove…
La Roberta mise giù la cornetta. Non aveva senso lasciare messaggi. Tanto Pietrino non li ascoltava mai.
Il maresciallo Piovan procedeva ondeggiando pericolosamente in sella ad una minuscola bicicletta da donna. Il sole ormai basso nel cielo lo colpiva dritto in faccia, e i suoi tentativi di schermarsi gli occhi con le mani servivano solo a minarne il già precario equilibrio. Sempre più esasperato da quella scampagnata che era partita male e stava procedendo ancora peggio, ogni tanto imprecava prendendosela con il suo mezzo di trasporto, la cui unica colpa era quella di essere di una taglia troppo piccola per un uomo alto alto e secco secco come lui. Ma la bicicletta faceva orecchie da mercante a quella valanga di improperi, e se ne restava felice e beata con la sua tinta giallo canarino, il suo cestino intrecciato di fiori, e le sue lucine lampeggianti posizionate in ogni dove. Dopo una pedalata durata dieci infiniti minuti, il maresciallo giunse finalmente a destinazione e smontò dalla sella con un sospiro di sollievo. Mentre abbassava il cavalletto, ne approfittò per maledire ancora una volta gli ignoti ladruncoli che proprio quel pomeriggio gli avevano sottratto il suo bolide a pedali. Accidenti a loro, con la loro bravata lo avevano costretto a ripiegare sul mezzo di servizio dell’appuntato Claudia Bonato, che era alta almeno quaranta centimetri meno di lui. E per fortuna che quella rimaneva in ufficio fino a tardi. Altrimenti a piedi, gli sarebbe toccato andare. Pensa te. Nemmeno a Fumarolo ci si poteva più fidare a lasciare la bicicletta parcheggiata in strada senza chiuderla. Che mondo. Chiaramente aveva sporto denuncia a se stesso non appena scoperto il fattaccio, ma figurati, era una causa persa in partenza. Bah, meglio non pensarci, rischiava solo di rovinarsi l’appetito per la cena. Con il suo occhio da investigatore, che era quello destro, dotato di dieci decimi mentre il sinistro ne aveva solo otto, scrutò ben bene la casa. Pareva vacante. Ma vai a sapere. Mai fidarsi delle prime impressioni. Perciò, anche se la Roberta gli aveva detto di entrare scavalcando il muretto, il maresciallo decise di provare prima a suonare il campanello. Premette il pulsante un numero imprecisato di volte, aspettò una decina di minuti dondolandosi sui talloni, infine dichiarò la casa effettivamente vacante, come da prima impressione. Guardandosi attorno sospettoso, si avvicinò al muro di cinta. Chissà quanti binocoli curiosi lo stavano osservando da dietro le solo apparentemente innocenti tendine di pizzo del vicinato. Maledetto paesello. Non si poteva mai fare niente senza che tutti lo venissero a sapere. In ogni caso, lui era il maresciallo, perciò poteva ben scavalcare qualche cancello di tanto in tanto. Dopo aver individuato il punto più agevole da valicare, si mise a fare un po’ di stretching in preparazione all’impresa ginnica che lo attendeva. Quando si sentì pronto, dall’alto del suo metro e novanta afferrò il bordo del muretto e si tirò su con tutte le sue forze.
— Uuuh signor maresciallo. Ma come è atletico, pure l’arrampicata riesce a fare — esclamò estasiata la Romina dal balcone della casa di fianco.
Il maresciallo, ansimando, si sedette a cavalcioni del muretto.
— Buonasera, Romina — le urlò asciugandosi il sudore dalla fronte.
— Ma perché scavalca? Che è successo? — chiese lei, sporgendosi il più possibile in fuori per vedere meglio.
— No, niente. Devo solo controllare una cosa veloce.
— Ah, capisco.
— Ma mi dica, ha mica visto Pietro oggi? — chiese, già che c’era, il maresciallo. Niente di meglio di una vicina impicciona, in casi come quello.
La Romina finse di pensarci su un attimo, giusto il tanto che bastava per non dare l’impressione di essere una di quelle che controllano i vicini tutto il giorno. Prima di cominciare il suo resoconto, fece un respiro profondo riempiendosi i polmoni dell’aria afosa di giugno.
— Dunque, questa mattina alle sette Pietro ha bevuto il caffè in giardino. Alle otto si è messo a sistemare la bicicletta da corsa. Alle dieci si è messo a controllare l’orto. Alle undici ha bevuto un altro caffè, anche se secondo me esagera, non fa bene berne così tanti. Glielo dico sempre ma non mi dà mai retta. Dopodiché non l’ho più visto né sentito, perché faceva troppo caldo allora mi sono spostata dall’altro lato della casa che è all’ombra e ho guardato la Monica che montava un nuovo dondolo da giardino. Poi mi sono messa a fare il pisolino e quando mi sono svegliata ho visto che se ne andava. Dove, non lo so.
Il maresciallo la ringraziò, spostò tutte e due le gambe sul lato del muretto che dava verso il giardino, prese il corretto slancio e con un ben calibrato colpo di reni andò a planare giusto giusto su di un folto cespuglio di ortiche. Proprio la sera in cui, per un fortuito colpo d’ingegno, prima di lasciare la caserma aveva pensato bene di togliersi la divisa e di indossare al suo posto i nuovi pantaloncini corti che si era comprato. Imprecando si sollevò il più in fretta possibile e, per estinguere il fuoco che si propagava veloce sui polpacci scoperti, aprì il rubinetto della fontanella, raccolse da terra il tubo da cui già sgorgava acqua in abbondanza, e lo diresse su di sé sospirando di sollievo.
— Ma che fa, maresciallo, si annaffia? — urlò la Romina che ancora non aveva abbandonato la sua postazione da spettatrice privilegiata.
— Guardi che è già abbastanza alto, non ne ha mica bisogno — aggiunse poi ridacchiando, molto soddisfatta della sua originale battuta.
— Ehm, sì… giusto un piccolo incidente… le ortiche…
— Ah, è caduto sulle ortiche. Presto, venga qui da me che ho la pomata.
— Ma no, non si preoccupi, va già meglio — rispose il maresciallo accompagnando le sue parole con un cenno noncurante della mano, nonostante sentisse la pelle tirare e prudere e ricoprirsi di bolle. Appoggiò a terra il tubo, chiuse il rubinetto, e si diresse verso il retro della casa. I movimenti gli erano un po’ impediti dalle scarpe zuppe d’acqua che gracchiavano rumorosamente ad ogni passo, e già si stava maledicendo per la sua trovata geniale che in realtà gli aveva causato più problemi che miglioramenti. Con la cosa dell’occhio, notò la Romina che rientrava in casa. Di certo lo avrebbe seguito fin sul retro, per continuare ad osservarlo ben nascosta dietro qualche finestra. Stava quasi per raggiungere il casotto di lamiera indicatogli dalla Roberta, quando un bolide bianco peloso sbucò improvvisamente dall’erba alta del giardino e si avventò sulle sue caviglie. Che dolore! Il maresciallo prese a scalciare come un forsennato mentre piccoli artigli gli graffiavano i polpacci senza pietà. Finalmente, con uno slancio prepotente della gamba destra, riuscì a rispedire la palla pelosa da dove era venuta. Da un punto imprecisato gli giunse alle orecchie il suono di una risata soffocata a fatica. Una tendina di pizzo si richiuse di colpo non appena sollevò lo sguardo verso la casa di fronte. Inspirando a fondo per non perdere la pazienza, il maresciallo individuò il terzo vaso da destra nella cassetta di legno di fianco al gabbiotto e cercò di ricordarsi le raccomandazioni della Roberta. Cos’è che gli aveva detto? Di stare attento a non pungersi, forse. Be’, ora capiva il perché. Dentro al famoso terzo vaso a partire da destra si ergeva un maestoso cactus alto all’incirca cinquanta centimetri, con delle spine lunghe almeno dieci che avrebbe fatto invidia a tutti i suoi fratelli in Arizona. Ma dov’erano le chiavi? Il maresciallo si sporse ben bene sopra al vaso e finalmente le individuò, ben nascoste proprio nel centro di un intricato fortino di cilindretti chiodati. Una specie di Stonehenge vegetale impenetrabile. E adesso? Dopo aver tentato in tutti i modi di estrarle senza farsi male, si preparò psicologicamente e senza indugiare oltre infilò la mano sinistra tra le spine.
— Ah — esclamò trionfante, sollevando vittorioso al cielo l’oggetto della sua conquista. Fu solo mentre infilava le chiavi nella serratura del gabbiotto che si accorse di un lungo uncino appoggiato proprio di fianco alla porta. Chiamò a raccolta tutta la sua pazienza e respirò profondamente chiudendo gli occhi e lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi. Quello che non uccide fortifica.
— Pronto, signora Roberta? Dunque, sono qui dentro al gabbiotto di Pietro. E davanti a me vedo una bicicletta da corsa Bianchi color verde acqua. Come dice? È quella? Allora è proprio qui. No, in casa non ho ancora controllato. Ma a quanto pare la mia prima ipotesi è da scartare.
L’ansia crescente della Roberta corse veloce lungo il filo del telefono e si riversò con prepotenza nelle orecchie del maresciallo sotto forma di ansimi incontrollati.
— Ma sono certo che ci sia un’altra spiegazione ancora più plausibile — si affrettò allora ad aggiungere lui. — Dunque, vediamo… dove mi ha detto che la teneva di solito la macchina Pietro? In garage o sulla strada?
— Sulla strada — rispose in un soffio la Roberta stringendo convulsamente la cornetta.
— Ah, bene. E che macchina ha? Mi pare una Punto, vero?
— Sì. Color verde bottiglia. È lì, maresciallo?
— Non mi pare di averla vista, se devo essere sincero. Aspetti un attimo…
Il Piovan fece tutto il giro della casa e ritornò dalla parte della strada. Un fruscio di passi e tendine scostate proveniente dalla casa di fronte gli suggerì che la Romina teneva ancora sotto controllo ogni suo movimento.
— Dunque dunque… No, non c’è proprio nessuna macchina, qui — disse dopo aver lasciato spaziare lo sguardo fino alla fine di Via delle Rose.
— Allora si vede che è andato via in macchina… Ma dove si è andato a cacciare, quel disgraziato?
— Cosa sta cercando, maresciallo? La macchina di Pietro? — gli urlò la Romina, di nuovo appollaiata sul balcone.
Lui assentì in silenzio con un movimento della testa.
— Allora può smettere di cercare, perché quando mi sono svegliata dal pisolino sono venuta a prendere un po’ d’aria e ho visto Pietro che saliva in macchina e se ne andava. Gliel’ho detto anche prima, non se lo ricorda? E poi pensavo che lo sapesse, che Pietro se n’era andato. Altrimenti, mi dicevo, mica si sarebbe messo a scavalcare il muretto.
Nessun bisogno controllare dalle finestre, dunque.
— Marescialloooo è ancora lì? — gli urlò nell’orecchio la Roberta.
— Sì, sì eccomi, mi scusi, la vicina mi ha distratto — sussurrò il maresciallo, ringraziando nel frattempo la Romina con un cenno della mano.
— La Romina?! Quell’impicciona maledetta! Guardi, maresciallo, prima di chiamare lei ho proprio pensato: e se chiedessi alla Romina? Ma noooo, mi sono risposta subito, quella è una ficcanaso, e chissà poi che voci mette in giro. Ma niente, ha trovato il modo di intromettersi comunque. Ma pure lei, maresciallo, mi scusi, ma cosa va a chiedere alla Romina? Ma ha guardato dentro in casa?
— Eh, mi scusi — sospirò in risposta lui, evitando di aggiungere altre giustificazioni, dato che la Romina lo teneva ancora sotto tiro. — Comunque Pietro non è in casa. Se n’è andato verso le tre. Quindi le propongo due possibili scenari, poi mi dica lei se le sembrano plausibili. Ipotesi numero uno: è andato a farsi un giro in montagna.
— Ma per favore — lo interruppe subito la Roberta. — Ma quando mai? Così, su due piedi, senza avvertire nessuno uno si prende su e se ne va in montagna.
— Be’, non sarebbe la prima volta, mi pare.
— Ma sì, due anni fa in effetti se n’era andato a Bassano da solo senza dire nulla a nessuno, ma quello era un caso eccezionale. Aveva litigato con la morosina e si era arrabbiato, il mio Pietro. Quel disgraziato. Ma era giovane e incosciente, adesso non lo farebbe mica più.
— E questo ci porta alla seconda opzione. E se fosse andato da qualche parte con la Teresa? È una bella serata, magari sono al mare…
— Con la Teresa? Ma non lo sa che non stanno più insieme? Questa poi. Tre mesi fa si sono lasciati. E vedesse lei come è triste, poverina… mi piange il cuore ogni volta che la vedo, perché erano una così bella coppia. Non lo so come gli sia saltato in mente a Pietro di lasciarla.
— Lasciati? Tre mesi fa? Ma come? Se ieri ho sentito la Iole che diceva di averli visti insieme non più tardi della settimana scorsa — si lasciò scappare incautamente il maresciallo, che era al fin fine curioso e pettegolo come tutti i suoi compaesani.
— Ah, sì — esclamò la Roberta con un tono di voce prossimo a perforargli il timpano.
— G-g-già, pare di s-s-sì — balbetto il Piovan, investito da cotanta foga.
— E com’è che io lo vengo a sapere così, per caso, da lei? Non va più di moda dire le cose anche ai parenti prossimi dei diretti interessati? Ah, ma appena vedo la Iole… mi sente. Eccome se mi sente.
Per fortuna la Iole era sorda, pensò il maresciallo. Altrimenti lo sarebbe diventata, come stava succedendo a lui a forza di ascoltare tutti quegli sbraiti.
— Dunque pare che la questione sia chiarita — esclamò in tono soddisfatto, desideroso di mettere la parola fine alla faccenda e di andarsene a casa a gustarsi la sua cena.
— Chiarita un corno. Fosse un altro giorno, forse potrei anche crederci… Ma non di lunedì, non di lunedì. Il lunedì è sacro, per noi. La faccenda sarà chiarita quando il mio Pietrino salterà fuori. Non le pare che dovremmo provare a chiamare la Teresa?
— Ma, signora Roberta, Pietro è un uomo adulto, ormai. Potrebbero esserci mille motivi per cui non risponde al cellulare. E magari, dato che è in ferie, ha perso i giorni e si è dimenticato che oggi è lunedì. Non mi sembra il caso di allertare tutto il paese.
— Ma non tutto il paese. Solo la Teresa.
— Mi dia retta, aspetti almeno fino a domani. Adesso vada a mangiare qualcosina, poi si beve una tisana e per finire si fa una bella dormita. Poi ne riparliamo domani.
La Roberta sospirò rassegnata.
— E va bene. Ma solo fino a domani.
— D’accordo. Mi informi se ci sono novità. Ma vedrà che non è successo niente.
— Speriamo. Grazie, maresciallo. Arrivederci e buonasera.
Nonostante tutti i suoi buoni propositi, la Roberta non riusciva a prendere sonno. Erano due ore che si girava e rigirava nel letto senza risultato. Non restava che una cosa da fare, anche se le procurava un tantino di imbarazzo. Ma meglio l’imbarazzo di quello sconforto profondo e insopportabile. Risoluta, infilò le ciabatte e si diresse in salotto strascicando i piedi. Una volta varcata la soglia, prese dal tavolo la sua agendina e la scorse fino alla lettera M. Masieri Teresa, eccola. Compose in fretta il numero, per paura di ripensarci, e si portò la cornetta all’orecchio mordicchiandosi nervosamente l’unghia del pollice della mano rimasta libera.
— Pronto? Teresa, sei tu?
— Chi parla? — le rispose dall’altra parte una voce impastata dal sonno.
— Ciao Teresa, cara. Sono la Roberta.
— Roberta — esclamò lei, improvvisamente sveglia. — Ma che ore sono? Che è successo?
— Mmmh, sono le due — rispose la Roberta, gettando una rapida occhiata all’orologio appeso alla parete. — Scusami se ti disturbo a quest’ora, ma per caso Pietro è lì con te?
— Pietro? E perché mai dovrebbe essere qui con me?
— Non so, mi chiedevo… Visto che doveva venire a cena qui da me e non si è presentato, ho provato a chiamarlo e non risponde… Speravo che fosse con te.
— Mi dispiace, Roberta, non è qui.
Lei abbassò la voce e assunse un tono da cospiratrice.
— Ma guarda che a me lo puoi dire, sai. Non lo dico a nessuno, muta come un pesce. Non giudico e non commento.
— Ti assicuro che se fosse qui te lo direi. Ma davvero non c’è.
— E hai idea di dove possa essere?
— Be’, la settimana scorsa mi aveva detto che forse voleva andare via per un po’ di giorni. Perché domani non va a controllare a casa sua se c’è la tenda da campeggio? Magari è andato in montagna.
Ancora con ’sta montagna.
— Ma è strano che non mi abbia detto nulla… Comunque va bene, domani andrò a controllare. Grazie e scusami se ti ho disturbata. Buonanotte, Teresa.
— Di nulla, Roberta. Buonanotte.
La Roberta rimase un attimo ancora con la cornetta sollevata a mezz’aria. Dunque era vero, che Pietro e la Teresa si erano visti. Rimise a posto il telefono e staccò dalla parete la foto incorniciata del marito. Si sedette sul divano e la strinse a sé con tutte le sue forze, fino ad addormentarsi cullata dal silenzio della notte e dall’illusione di potersi perdere ancora in uno di quegli abbracci che le erano stati sottratti troppo presto.
Specifiche
- Genere: Giallo
- Collana: I gialli Damster
- Formato: 14x20 cm
- Pagine: 400
- ISBN: 978-88-6810-517-4
- Anno pubblicazione: 2022
- Prezzo copertina:: 16